...a piedi nudi nel parco

28 dicembre 2007

E un anno se ne va

Tutto finisce, prima o poi. Anche l’anno. A volte penso che questo alternarsi di fine ed inizio, ieri e domani, passato e futuro, sia solo una delle tante illusioni che ci creiamo per concederci sempre un’altra possibilità. Per lasciare una valigia pesante all’aeroporto e ripartire più leggeri. O per giustificare un vuoto o un assenza come qualcosa che deve ancora arrivare. Perché c’è tempo: un tempo passato e uno che verrà.
Se non ci fossero albe e tramonti, se le lancette degli orologi non disegnassero circonferenze, se i calendari non avessero tutte quelle caselle bianche che ciclicamente si ripetono, non avremmo neanche le date di scadenza, e il latte, distrattamente abbandonato dentro la sua scatola di cartone senza date stampate che ne segnano la fine, lascerebbe un odore acido e marcescente nel nostro frigorifero. Ma arriva il tempo di buttarlo. É giunta l’ora ed è passata: il frigorifero è salvo. Credo che anche nella nostra vita ci sia bisogno di date di scadenza. Così una casella non riempita in un giorno qualsiasi dell’anno passato lascerà semplicemente più spazio da riempire in una casella del nuovo anno, alla pagina successiva del nostro calendario. Possiamo congelare qualcosa, portarlo nel profondo della coscienza per ritrovarlo fresco quando sarà il momento, riaprendo il nostro scomparto surgelati. Possiamo voltare pagina, istruire la nostra memoria, dare un volto ai giorni e alle ore che il sole e le lancette ci hanno insegnato a riconoscere, voltarci di spalle e dirgli addio. O semplicemente salutarlo, come si salutano i vecchi amici, quelli che sai che ci saranno sempre oltre i limiti spazio-temporali. Come Goldrake ed il Grande Mazinga.
Il tempo, per me, è una borsa tracolla capiente e spaziosa che apro e richiudo centinaia di volte ma che dentro conserva tutto quello che non si butta, non si dimentica e si porta sempre ovunque vada, cinghia sulla spalla e sacca appoggiata al fianco ... è anche una scatola da riempire di sogni e buoni propositi, di speranze e di sano ottimismo, di curiosità e di attesa ... ma a volte, è anche un baule da riporre in soffitta, di quelli tutti impolverati, che quando un giorno riaprirò, semmai ne sentirò la necessità, mi farà un po’ tossire con tutta quella nebulosa che esploderà nell’aria e mi ritroverò a frugare tra le vecchie chincaglierie e a sorridere ripensando a quel giorno in cui, quando finiva il 2007 ed iniziava il 2008, io mi mettevo a fare i soliti bilanci e a spolverare la mia vita.

Quest’anno inizierà con il piede giusto, il sinistro, il primo che appoggio a terra quando scendo dal letto e comincia un nuovo giorno. Inizierà sotto “il cielo azzurro” di Berlino, sotto fiocchi di neve e a temperature sotto lo zero che congeleranno le mie prime emozioni e le porteranno fresche per tutti i giorni a venire. Inizierà dall’aeroporto di Fiumicino dove al check-in imbarcherò la mia "scatola". Sperando che questa volta non si perda nulla nel viaggio e che io, come al solito, non debba fare la fila al Lost & Found a descrivere forma, dimensioni e colore del bagaglio e a fare reclami elencando tutto il contenuto andato perso. Che non mi perdano l’ottimismo ed il sorriso che ci ho riposto, e neanche i sogni e i buoni propositi, che quest’anno poi sono parecchi, la lista sarebbe lunga. E poi i sogni non vanno mai svelati. Bisogna lasciarli lì a decantare ed aspettare il momento giusto in cui salteranno fuori come un coniglio dal cilindro del mago. Solo dopo ci si renderà conto che tutto ciò che è intercorso tra il sogno e la sua realizzazione, ogni azione distratta, ogni viaggio intrapreso senza una meta precisa, non erano nient’altro che il trucco che serviva a svelarlo.
Con la mia carta di imbarco, raggiante nell’attesa di una nuova città tutta da scoprire, prima di raggiungere il gate, mi toccherà fare i conti con l’addetto al controllo sicurezza bagagli, che con i suoi guantini di plastica trasparenti, vorrà sicuramente frugare nella mia borsa tracolla.
Signorina, il suo bagaglio a mano eccede i 10 kg consentiti dalla nostra compagnia ...
Ehm ... si lo so ... ma che ci posso fare!? Questo 2007 mi ha portato un bel po’ di cose”.
Lo lascerò passare nel tubo a raggi X e superando con passo deciso la barriera del metal detector, mi soffermerò a guardarne la radiografia. Ci sarà di tutto in quella borsa che mi accompagnerà nel nuovo anno: dai bei ricordi in un isola, davanti ad un lago, in un casale in Abruzzo, in un rifugio in montagna o nelle giornate semplici e senza aspettative, ai progetti nati, visti crescere e realizzati. Ci sarà un bel viaggio nel Sud Est Asiatico che ha segnato un prima ed un dopo. Ci saranno anche le delusioni, che quelle poi aiutano ad essere più forti, e in parte bisogna sempre portarle con sé. Come l’aspirina, non si sa mai. Ci saranno persone da salutare ed altre da accogliere. Persone che inaspettatamente si rivelano amici. Vecchi amici che ritornano. E le solite che ti riempiono di conferme. Ci saranno quegli “insegnamenti di vita” che ti lasciano involontariamente le persone che ti feriscono. Ci saranno momenti che non torneranno più e che provocano nostalgia ma che lasciano comunque una scia decisa. La convinzione che anche dentro qualcosa di incompiuto, lasciato a metà, spezzato si potrà sempre ricostruire una parte importante che ne mostrerà il senso. Ci sarà anche la matura consapevolezza che alcune cose non potevano che andare come sono andate. Che era giusto così.
E finalmente salirò su quell’aereo. Magari con il posto vicino al finestrino. Una voce dall’altoparlante interromperà il vociare dei passeggeri intenti a sistemare i propri bagagli negli appositi scomparti:
Allarme rosso. É stato rinvenuto un baule dal contenuto sospetto al Terminal C”.
Forse cercherò di sedare il panico generale e per sviare i sospetti su di me mi mostrerò tranquilla ma non troppo, oppure mi rifugerò in bagno, che tanto non ci riesco mai a fischiettare, guardare in alto e fare la vaga. Oppure mi metterò lì ad osservare dall’oblò l’intervento degli artificieri antisabotaggio alla ricerca di un ordigno inesploso o dei labrador che tirano il collare per annusare una qualche partita di coca. Ma non troveranno niente di tutto questo, solo qualche silenzio di troppo, quei silenzi che un po’ sono in parte bugie, la retorica, qualche rimorso, il passo lento di chi cammina nella direzione sbagliata quando sa già che non troverà quello che cerca, rinunciare, mostrare di sé solo la metà più conveniente, le apparenze e il contorno, il “non sta bene” e il “non si fa”, una maglietta regalata senza senso, il tempo in cui è giusto soffrire, il tempo che c’è da aspettare, il tempo in cui è troppo tardi per fare un passo indietro, i fiori di pesco e una lunghissima notte a Bangkok.
Così tutto tornerà alla calma. I passeggeri tireranno un sospiro di sollievo per il pericolo scampato. Le voci torneranno a rimbalzare nell’abitacolo dell’aereo e a sovrapporsi allo schiocco metallico delle cinture di sicurezza allacciate, le hostess chiuderanno gli scomparti dei bagagli a mano.
Ed io volerò a Berlino.
Buon 2008.

24 dicembre 2007

È Natale

Guardando in cielo mi sono accorta che c’è la luna piena. Ho controllato anche il calendario lunare per assicurarmene ed è proprio piena, stracolma. Trabocca. Vorrà dire che anche lei oggi è molto riflessiva. O riflettente, che dir si voglia. O si è semplicemente unita al brindisi, riempiendo già il bicchiere di bollicine frizzanti. Oppure voleva solo ricordare alle altre palline di natale appese agli alberi di tante case o alle mille lucine accese, che lei rimane sempre la più bella, la più luminosa e la più audace, che resta sospesa anche senza fili e nastrini ed illumina senza una presa di corrente. O forse a Babbo Natale gli si sono rotti i fari e le renne avevano preso la strada sbagliata. Magari viaggiavano verso Marte, rincorrendo il sogno che ci sia vita anche lì.
O forse è che qualcuno, in un giorno fatto di tradizione, di tavole imbandite per un cenone di pesce e dolci natalizi, canzoncine sotto l’albero, presepi con i ruscelli fatti di carta stagnola e pacchi da scartare, aveva semplicemente bisogno di una lanterna accesa.

Buon Natale.

Messaggio per quel simpatico vecchietto della Lapponia: te lo ricordi che ho cambiato indirizzo, vero? Ti conviene passare per il garage, così parcheggi le renne. Ultima scala. Interno 3.

07 dicembre 2007

Pensieri

Ci sono momenti in cui i pensieri proprio non ti lasciano in pace. Per lo più sono immagini di cui ti vorresti disfare nell’istante stesso in cui le crei. O ricordi troppo vivi e troppo pesanti. O sensazioni che vorresti prendere per il collo e scaraventare fuori con un bel calcio. Ovunque sia questo fuori. Purché sufficientemente lontano da non inciamparci di nuovo. Ma niente. Ti assalgono come solo loro sanno fare. Peggio dei vermi sopra i cadaveri. Peggio delle patelle sullo scoglio, che con le loro viscide ventose non riesci mai a staccare.
Non lo vedete che sto lavorando? Aria!” … “Posso godermi questo film in santa pace senza ritrovarvi ad ogni cambio di inquadratura? Grazie.” … “E’ tardi, ho fretta … non mi lasciate qui imbambolata a fissare lo specchio del bagno e ad analizzare come il blu delle mattonelle viri sul verde acqua. Vi pare sensato farmi perdere tempo di prima mattina?”.
Se solo mi ascoltassero quando gli parlo. Se solo si esaurissero nel film che ti proietta in prima nottata la tua mente quando ancora non riesci a prendere sonno, o nei sogni che ne scaturiscono. Ma poi invece li ritrovi puntuali nel caffè e la giornata inizia così, con la nuvoletta con i lampi e la goccia di pioggia: perturbazione in arrivo. E sei pronta a scrivere il tuo personale oroscopo su Metro che casualmente, per una volta, si rivelerà corretto.
Con il tempo, però, ho incominciato a creare le mie difese, a irrobustire i miei anticorpi o semplicemente a cimentarmi nella preparazione di forti antidoti contro il mal da pensieri.
È così che dalla tenera età in cui iniziai a suonare il pianoforte e pian piano crescendo, ho capito che nella musica riesco a trovare una valvola di sfogo. Che può essere aprire i rubinetti quando ho voglia di piangere o far tremare le pareti quando sento il bisogno di urlare, che sia un urlo di gioia o di rabbia. A seconda dell’umore ho trovato le “colonne sonore” più adeguate da eseguire: un preludio di Bach o un Notturno di Chopin quando mi abbandono alla nostalgia, o un fortissimo in una Sonata di Bethooven quando ho voglia di spaccare tutto. Anche il pianoforte. Ma quando la mia mente vuole solo un po’ di tregua, una valle fiorita dopo il fitto bosco di pensieri, ecco ... in quei momenti mi siedo al pianoforte e faccio le scale. O gli esercizi di tecnica pianistica. Quelli in cui ripeti gli stessi intervalli di note in tonalità ascendente e discendente. Quelli odiosi che ti facevano fare quando eri piccolo e tu volevi solo suonare “Jingle Bells”, visto che era quasi Natale.
Da qualche mese suono poco, e forse è per questo che i pensieri si sono ammucchiati. Dovrei mettere un po’ di ordine, rassettare, buttare la roba vecchia e fare un po’ di spazio. Quando la prossima settimana il mio pianoforte traslocherà nella nuova casa, finalmente ritroverò quegli spazi. Con somma gioia dei miei vicini che se ora mi salutano sorridendo, identificandomi come “la nuova inquilina del secondo piano”, presto impareranno a trasformare quel sorriso in una smorfia e diventerò “la rompipalle del secondo piano” che suona alle ore più impensate. Confido nel potere fonoisolante delle pareti e nella reciproca tolleranza per una convivenza cordiale e pacifica.
Per sopperire alla carenza di note musicali, poco tempo fa trovai un nuovo antidoto, molto meno edificante del pianoforte anzi, direi quasi che c’è da vergognarsi, ma tant’è. Il suo sporco lavoro lo assolveva alla grande. Una vera e propria terapia d’urto: il sudoku. Un gioco tanto semplice quanto imbecille quanto, ahimè, efficace. In edicola mi comprai addirittura il libricino di 200 sudoku con quattro livelli di difficoltà: semplici, medi, difficili e diabolici. E un caro amico, che riesce ad assecondare anche i miei momenti di delirio emotivo, mi regalò il libro con il tabellone e i numeri magnetici. Si passano, a volte, periodi così. Ma quando i pensieri ti assalgono sul treno nel viaggio di ritorno dal lavoro, quando proprio non riesci a fronteggiarli, è davvero stupefacente quello che riesce a fare un sudoku. É un gioco che ti annienta la mente, rimani concentrata ad ordinare i numeri da 1 a 9 nelle rispettive caselle e sei talmente presa ed assorta che ti capita anche di scendere alla fermata sbagliata. Intorno a te non c’è niente, solo caselle vuote da riempire, senza motivo, senza un perché, senza possibilità di sbagliare perché le regole sono due e devi solo seguirle. Dopo un po’ fortunatamente ho gettato la spugna, quando seduto davanti a me sul treno ho visto un signore che, quasi a lanciarmi una sfida, si cimentava in un sudoku 16 per 16. E lì ho capito che non potevo finire così.

Ed appellandomi al vecchio detto mens sana in corpore sano, mi sono buttata anima e corpo (e aggiungerei portafogli) nel tennis. Uno sport che la mente non te la annienta ma te la cattura e la dirotta in tutt’altra direzione. In quella che prende la pallina che rimbalza nel tuo campo e che devi riuscire a colpire e respingere oltre la rete, anche se è un palla corta o se l’effetto ne cambia la direzione. Ho ripreso a prendere lezioni ed il mio maestro dice che miglioro e mi incoraggia. Ovviamente lo pago per questo. Ma anche se mi dicesse di cambiare sport, che magari per l’equitazione mi vede più portata, continuerei a giocare solo per provare quella sensazione di sentirmi più leggera appena esco dal campo. Come dopo una grassa risata che ti lascia il dolore alle guance, fitte agli addominali ma la mente completamente sgombra ed il cuore sazio ed appagato. Ridere di gusto è tra i modi più semplici per scavalcare i pensieri. Difficile è trovare le persone che siano in grado di innescarti la risata. Ma io ne sono circondata, e si sa: far ridere me è abbastanza semplice anche se gli effetti poi possono essere devastanti.

Ma dopo aver bruciato l’ultimo sudoku per non ricadere nel vortice, quando è davvero troppo tardi per mettermi al pianoforte, quando i campi da tennis spengono le luci e ho consumato le ultime risate della giornata, se proprio i pensieri continuano ad annebbiarmi la vista io mi metto a scrivere. Che non è come leggere, perché a volte i pensieri che vuoi cacciare sono talmente egocentrici da annidarsi addirittura tra le frasi di un libro, quasi a farti credere che sotto sotto lo scrittore ti conosce e ciò che scrive lo scrive per parlare a te, o di te, addirittura con la tua voce che non riesce a trovare parole altrettanto belle ed incisive per comunicarti i tuoi stessi stati d’animo. Scrivere non ti fa propriamente staccare la spina anzi, direi quasi che stimola la mente, ma crea l’illusione di riuscire a spostare i pensieri da un’altra parte: sul monitor. Magari non li trovi esplicitati ma semplicemente nascosti dietro le righe. Ma comunque hai la sensazione che siano un po’ più lontani da te.
E visto che non amo prendermi troppo sul serio, né dare un peso eccessivo a ciò che in fondo non lo ha, sto scoprendo quanto sia divertente anche solo condividerli.

01 dicembre 2007

Sono a casa

Nessuno mi ha presa in braccio. E non avevo l’abito bianco. Che tanto avrei subito sporcato, con tutta la polvere che c’era e ancora c’è. E così il grande passo verso l’indipendenza nella mia nuova casa, l’ho preso alla lettera, compiendolo nelle mie comode scarpe da ginnastica e non trasvolando l’uscio rivestita di veli e tulle. Casa dolce casa, sognata, desiderata e amata sin dall’inizio, anche quando le mattonelle erano la nota stonata e la carta da parati rosa mi ricordava un po’ la casa di Barbie, quella con l’ascensore, anche se lì non c’erano le pareti. Ma in un tripudio di colori, questa casa l’ho subito sentita il giusto involucro per una nuova fase della mia vita, tutta da costruire e da scoprire. Quella in cui magari ancora non si tirano le somme, ma si cominciano ad incolonnare tutti i numeri dentro i quadretti. Dove si riaprono i vecchi cassetti nei quali si riponevano i sogni di bambina, di adolescente, di ragazza, di donna (azzardiamo?) e si cominciano a guardare da una nuova prospettiva. Più ampia, perché si è forse più soli. O magari si cambia loro semplicemente cassetto, aspettando di chiederci che fine avessero fatto quei sogni o trovandoli un giorno belli e realizzati.
A parte il fatto che l’evento non è stato trasmesso in mondovisione e che il pavimento è gres porcellanato e non suolo lunare, mi sono chiesta se Neil Armstrong abbia provato la mia stessa emozione quando ha messo piede lassù. Dopotutto oltre a tanti scatoloni, sono entrata anch’io piena di aspettative. Prima fra tutte la leggerezza, nel senso positivo del termine o come la intendo io: quella riduzione della forza di gravità nella quale scoprire un nuovo equilibrio fatto su misura per me. Dove si corre più veloce, si cammina su un filo senza paura di cadere e dove i passi più incerti lasciano orme che poi si richiudono. O la leggerezza totale, che mi faccia addirittura spiccare in volo, mano nella mano, come nella passeggiata nel parco di Chagall ... sperando che il volo non sia dalla finestra.
Comunque sono al primo piano rialzato, e non credo che mi farei troppo male.
Per ora i miei piedi tastano il terreno di questa nuova dimensione fatta di un carrello ingovernabile nel supermercato che ti regala un metro e venti di scontrino, del profumo al limone del Cif che leva ogni macchia (e chi lo avrebbe mai detto!), o quello delle 184 candele colorate che invadono le stanze di luce e romanticismo. Del desiderio che non avrei mai pensato di provare, di comprare al più presto un potente aspirapolvere, di Vasco che canta nel mio stereo la mattina mentre prendo il caffè, dei falliti esperimenti culinari dove le zucchine e melanzane trifolate assomigliano ad un patè di olive e capperi ma sfortunatamente senza lo stesso sapore. Delle docce calde con l’acqua bollente che dura quanto voglio, delle cene con gli amici che ti lasciano con un pollice tranciato ma con l’eco delle voci che ti riempiono la casa, dell’ “Oddio, mi devo decidere a leggere le istruzioni della lavatrice!”. Delle simpatiche improvvisate per un caffè, camomilla per neonati, cioccolata, gelato, Amaro del Capo, della luce che entra nei sabato pomeriggi dalla finestra della cucina e disegna un fascio luminoso dalla penisola fino all’ingresso, dei nuovi volti che saluto ed imparo a conoscere nel tragitto dal portone al cancello. Del silenzio della domenica o in tutte le notti in cui mi aggroviglio sotto il piumone con la stella accesa e il mio libro di turno, del rumore della chiave che gira nella serratura, quando provo quella nuova sensazione del sentirmi “a casa”… e di tutte le persone che entrando e vedendola, mi dicono che assomiglia a me. Ed io ne sono fiera, dal momento che non avendo capelli verdi, occhi lilla, orecchie e naso in pvc, né una corporatura squadrata e pelle di intonaco, immagino cosa vogliano dire.

“Houston, mi sentite? Passo.”
“Qui Houston, ti sentiamo forte e chiaro. Passo.”
“Missione compiuta, sono a casa. Passo e chiudo.”