...a piedi nudi nel parco

07 dicembre 2007

Pensieri

Ci sono momenti in cui i pensieri proprio non ti lasciano in pace. Per lo più sono immagini di cui ti vorresti disfare nell’istante stesso in cui le crei. O ricordi troppo vivi e troppo pesanti. O sensazioni che vorresti prendere per il collo e scaraventare fuori con un bel calcio. Ovunque sia questo fuori. Purché sufficientemente lontano da non inciamparci di nuovo. Ma niente. Ti assalgono come solo loro sanno fare. Peggio dei vermi sopra i cadaveri. Peggio delle patelle sullo scoglio, che con le loro viscide ventose non riesci mai a staccare.
Non lo vedete che sto lavorando? Aria!” … “Posso godermi questo film in santa pace senza ritrovarvi ad ogni cambio di inquadratura? Grazie.” … “E’ tardi, ho fretta … non mi lasciate qui imbambolata a fissare lo specchio del bagno e ad analizzare come il blu delle mattonelle viri sul verde acqua. Vi pare sensato farmi perdere tempo di prima mattina?”.
Se solo mi ascoltassero quando gli parlo. Se solo si esaurissero nel film che ti proietta in prima nottata la tua mente quando ancora non riesci a prendere sonno, o nei sogni che ne scaturiscono. Ma poi invece li ritrovi puntuali nel caffè e la giornata inizia così, con la nuvoletta con i lampi e la goccia di pioggia: perturbazione in arrivo. E sei pronta a scrivere il tuo personale oroscopo su Metro che casualmente, per una volta, si rivelerà corretto.
Con il tempo, però, ho incominciato a creare le mie difese, a irrobustire i miei anticorpi o semplicemente a cimentarmi nella preparazione di forti antidoti contro il mal da pensieri.
È così che dalla tenera età in cui iniziai a suonare il pianoforte e pian piano crescendo, ho capito che nella musica riesco a trovare una valvola di sfogo. Che può essere aprire i rubinetti quando ho voglia di piangere o far tremare le pareti quando sento il bisogno di urlare, che sia un urlo di gioia o di rabbia. A seconda dell’umore ho trovato le “colonne sonore” più adeguate da eseguire: un preludio di Bach o un Notturno di Chopin quando mi abbandono alla nostalgia, o un fortissimo in una Sonata di Bethooven quando ho voglia di spaccare tutto. Anche il pianoforte. Ma quando la mia mente vuole solo un po’ di tregua, una valle fiorita dopo il fitto bosco di pensieri, ecco ... in quei momenti mi siedo al pianoforte e faccio le scale. O gli esercizi di tecnica pianistica. Quelli in cui ripeti gli stessi intervalli di note in tonalità ascendente e discendente. Quelli odiosi che ti facevano fare quando eri piccolo e tu volevi solo suonare “Jingle Bells”, visto che era quasi Natale.
Da qualche mese suono poco, e forse è per questo che i pensieri si sono ammucchiati. Dovrei mettere un po’ di ordine, rassettare, buttare la roba vecchia e fare un po’ di spazio. Quando la prossima settimana il mio pianoforte traslocherà nella nuova casa, finalmente ritroverò quegli spazi. Con somma gioia dei miei vicini che se ora mi salutano sorridendo, identificandomi come “la nuova inquilina del secondo piano”, presto impareranno a trasformare quel sorriso in una smorfia e diventerò “la rompipalle del secondo piano” che suona alle ore più impensate. Confido nel potere fonoisolante delle pareti e nella reciproca tolleranza per una convivenza cordiale e pacifica.
Per sopperire alla carenza di note musicali, poco tempo fa trovai un nuovo antidoto, molto meno edificante del pianoforte anzi, direi quasi che c’è da vergognarsi, ma tant’è. Il suo sporco lavoro lo assolveva alla grande. Una vera e propria terapia d’urto: il sudoku. Un gioco tanto semplice quanto imbecille quanto, ahimè, efficace. In edicola mi comprai addirittura il libricino di 200 sudoku con quattro livelli di difficoltà: semplici, medi, difficili e diabolici. E un caro amico, che riesce ad assecondare anche i miei momenti di delirio emotivo, mi regalò il libro con il tabellone e i numeri magnetici. Si passano, a volte, periodi così. Ma quando i pensieri ti assalgono sul treno nel viaggio di ritorno dal lavoro, quando proprio non riesci a fronteggiarli, è davvero stupefacente quello che riesce a fare un sudoku. É un gioco che ti annienta la mente, rimani concentrata ad ordinare i numeri da 1 a 9 nelle rispettive caselle e sei talmente presa ed assorta che ti capita anche di scendere alla fermata sbagliata. Intorno a te non c’è niente, solo caselle vuote da riempire, senza motivo, senza un perché, senza possibilità di sbagliare perché le regole sono due e devi solo seguirle. Dopo un po’ fortunatamente ho gettato la spugna, quando seduto davanti a me sul treno ho visto un signore che, quasi a lanciarmi una sfida, si cimentava in un sudoku 16 per 16. E lì ho capito che non potevo finire così.

Ed appellandomi al vecchio detto mens sana in corpore sano, mi sono buttata anima e corpo (e aggiungerei portafogli) nel tennis. Uno sport che la mente non te la annienta ma te la cattura e la dirotta in tutt’altra direzione. In quella che prende la pallina che rimbalza nel tuo campo e che devi riuscire a colpire e respingere oltre la rete, anche se è un palla corta o se l’effetto ne cambia la direzione. Ho ripreso a prendere lezioni ed il mio maestro dice che miglioro e mi incoraggia. Ovviamente lo pago per questo. Ma anche se mi dicesse di cambiare sport, che magari per l’equitazione mi vede più portata, continuerei a giocare solo per provare quella sensazione di sentirmi più leggera appena esco dal campo. Come dopo una grassa risata che ti lascia il dolore alle guance, fitte agli addominali ma la mente completamente sgombra ed il cuore sazio ed appagato. Ridere di gusto è tra i modi più semplici per scavalcare i pensieri. Difficile è trovare le persone che siano in grado di innescarti la risata. Ma io ne sono circondata, e si sa: far ridere me è abbastanza semplice anche se gli effetti poi possono essere devastanti.

Ma dopo aver bruciato l’ultimo sudoku per non ricadere nel vortice, quando è davvero troppo tardi per mettermi al pianoforte, quando i campi da tennis spengono le luci e ho consumato le ultime risate della giornata, se proprio i pensieri continuano ad annebbiarmi la vista io mi metto a scrivere. Che non è come leggere, perché a volte i pensieri che vuoi cacciare sono talmente egocentrici da annidarsi addirittura tra le frasi di un libro, quasi a farti credere che sotto sotto lo scrittore ti conosce e ciò che scrive lo scrive per parlare a te, o di te, addirittura con la tua voce che non riesce a trovare parole altrettanto belle ed incisive per comunicarti i tuoi stessi stati d’animo. Scrivere non ti fa propriamente staccare la spina anzi, direi quasi che stimola la mente, ma crea l’illusione di riuscire a spostare i pensieri da un’altra parte: sul monitor. Magari non li trovi esplicitati ma semplicemente nascosti dietro le righe. Ma comunque hai la sensazione che siano un po’ più lontani da te.
E visto che non amo prendermi troppo sul serio, né dare un peso eccessivo a ciò che in fondo non lo ha, sto scoprendo quanto sia divertente anche solo condividerli.

8 Comments:

Anonymous Anonimo said...

In questo momento mi sento molto vicina ai tuoi vicini. Credo dovranno armarsi di tanta pazienza visto che il suono del pianoforte non conosce barriere, muri o porte che siano... E io ne so qualcosa! Porto ancora i segni di quel trauma, quando mi posizionavo nell'ultima stanza disponibile della casa, con tutte le porte chiuse, la televisione accesa o un cuscino sulle orecchie... e il suono del pianoforte che puntualmente oltrepassava tutte le mie barriere... Aaaahhhhhhh, che rabbia.!!!! Ti do un consiglio, comunque... Cerca di non far mai leggere ai tuoi vicini questo pericolosissimo post altrimenti ti ritroverai inondata da libricini di sudoku!

Il sudoku... il mio rapporto con questo giochetto è stato breve e neanche tanto intenso. Dopo il primo sudoku mi sono detta "Bello, mi piace, ne faccio un altro!"... Dopo il secondo "Ho capito come funziona, forte!"... Dopo il terzo "Carino... ma è un po' uguale agli altri"... Dopo il quarto "Ammazza che palle!"... Tutto nel giro di 10 minuti!
Mi chiedevo come qualcuno fosse riuscito a creare un business da queste caselle coi numeri più noiose delle parole crociate... Forse la risposta me l'hai appena data te... Il mondo è pieno di gente che non ha voglia di pensare!

Nonostante tutto ti capisco. Quando i pensieri ti perseguitano, sbarazzarsene è veramente difficile. Per quanto mi riguarda l'unico antidoto che conosco è quello di non rimanere sola... Non ce ne sono altri! Finché rimango sola non c'è attività che riesca a distrarmi. Se invece mi devo relazionare con qualcuno sono obbligata a pensare ad altro dal momento che la mia mente non è multitasking e non riesce a seguire due discorsi contemporaneamente.

Beh... immagino comunque che questi cattivi pensieri, visto il papiro di post che hai scritto, siano fuggiti a gambe levate... Se solo i vicini sapessero quante noiosissime scale si sono risparmiati!!! :)

4:53 PM

 
Anonymous Anonimo said...

Mi scusa per la demenzialità del mio commento, capisco che non ci vediamo da anni e peserai che sono davvero un0'idiota, ma....

Un DAINO dice a un altro DAINO: "Giochiamo a nasconDAINO?" "no DAI NO"


Sapete cosa direbbe Freud se fosse ancora vivo?...
"Cavolo, sono ben longevo!!"


Sapete cosa disse una volta Gesù alla Maddalena?
"Bella la Sardegna!"

- Mamma, i drogati sono fatti come noi?
- Di più, Pierino, molto di più.


scusami.... ;-) non ho saputo resistere....

6:04 PM

 
Blogger Beatrice said...

"Non ho più il fisico!!!
sono le parole che disse la madre di Galileo Galieli quando il filgio se ne andò di casa.

... così condivideremo gli stessi pensieri visto che non ci vediamo da anni!!! :)

2:36 PM

 
Anonymous Anonimo said...

stupenda.....ahahahahahah :-)

2:40 PM

 
Anonymous Anonimo said...

ciao bea, ma sei tu che ieri mi ha mandato una barzelletta sul cell???? non capivo che potesse essere poi ho pensato a te, dopo questi deliri web... ;-)

baci

9:34 AM

 
Blogger Beatrice said...

no, non sono stata io!!!
i miei deliri li ho esauriti nel web! :)

10:27 AM

 
Anonymous Anonimo said...

A me succede la mattina appena sveglio, anzi nemmeno sveglio…quando ancora non hai tirato su tutte le solite barriere e ponti levatoi, quando non sai nemmeno come ti chiami ma sei comunque cosciente ed il nemico ti sorprende: per tutta la notte non ha aspettato che quel momento per entrarti diritto nel cervello. Un nemico maledetto, ancora più tremendo di Voldemort, perché siamo noi stessi a generarlo, e che chiamiamo “pensieri”. Oramai sono diventato un vero esperto e nella battaglia mattutina, la maggior parte delle volte, ho il sopravvento sul mago cattivo….manco avessi stampata sulla fronte una cazzo di saetta. Però a volte, magari perché stranamente sei in pace con il creato intero, l’aria profuma, i barbari ti sorridono dimostrando anche una certa gentilezza e oserei dire disponibilità nonché comprensione, la meretrice del piano di sopra si è presa una nottata di meritato riposo (e solo noi vicini sappiamo di quanto ne ha bisogno), insomma quando tutto ciò accade, tu abbassi le difese e l’Innominabile ti sorprende eludendo tutte le tue guardie armate. Il problema è che la maledizione che ti ha lanciato dura tutto il giorno, magari lavori come Stakanov, mandi a fanculo un paio di persone al telefono, trasformi in ranocchia la segretaria che per mandarti a Catanzaro ti ha comprato il biglietto di un aereo che fa scalo a Bombay e Gerusalemme e minuto dopo minuto riesci a tenere a bada l’incantesimo. Il problema e che la sera torni a casa (la bella casa giusto simbolo di indipendenza e cambiamento) ed il maledetto servitore di Voldermort ti aspetta per aiutare il suo padrone a far riaffiorare la maledizione di cui sei stato vittima. Qui nel paese dei babbani l’aiutante del Signore Oscuro ha un nome che a dire il vero a me affascina anche un po’ ed è Solitudine: la solitudine bastarda, quella che senti anche se ti circondi di persone o fai il deficiente in mezzo ad un migliaio di tuoi pari. Forse il fatto di essere un po’ lontano dalla mia città, dai miei affetti, il sentirmi oramai stabile nella terra di mezzo mi costringe molto più spesso a fare i conti con me stesso, come dici tu a mettere i numeri in fila per tirare le somme (almeno parziali) e forse a ripensare il concetto stesso di solitudine. Io, sta stronza, l’immagino come un’immensa prateria senza un filo d’erba, nemmeno quelle maledette palle di arbusti che rotolano sospinte dal vento come nei film western, un gran canyon dove ai tuoi urli risponde solo l’eco, una spianata senza possibilità di ripari. Ed in questo posto rimane un po’ difficile non farsi raggiungere dai “pensieri”, nemmeno una caverna in cui nascondersi o un Sudoku per fare l’indifferente ( sai del tipo “Senta lei mi lasci stare, non vede che sono impegnato in un importantissimo esperimento psico-sociologico giapponese”). E come nei peggiori romanzi di serie B qual’è il modo migliore per vincere la solitudine con tutti i suoi annessi e connessi (che espressione di merda)? Facile la solitudine si manda via facendola passare per il collo della bottiglia. Ora trascurando gli effetti secondari del mattino dopo (nei film per riprendersi basta di solito una doccia fredda e una tazza di caffé amaro….io finivo una scatola di aspirine a settimana e sono consapevole che è molto meno cinematografico) devo dire che come sistema non era poi tanto male, considerando anche la tranquillità di mamma che poverina scambiava, durante le mie sempre più rare trasferte capitoline (niente è più devastante di alcuni ritorni a Roma), il mio gonfiore alcolico per sano appetito. Adesso il mio fegato mi ha costretto a ripensare un po’ al metodo.
Mi è come venuto il dubbio che forse in fondo in fondo questo punk-bestia di un Voldemort, magari anche se dolorosamente, mi vuole dire qualcosa, e che magari questo qualcosa mi aiuterà a costruire un riparo nella prateria desolata. Insomma per farla breve ho cominciato ad ascoltarli questi pensieri, anche perché non avendo la metropolitana non so dove fare il Sudoku ed il pianoforte è a riparare! Non ho ancora ben capito cosa in realtà mi vogliano dire, ma seguendoli ho cominciato ad accorgermi che ai miei urli non risponde sempre un semplice eco ma magari questo copione ogni tanto ci mette del suo e si porta dietro anche qualche parola in più, che magari piano piano mettendole tutte insieme con il tempo acquisteranno un significato. Certo ascoltare Colui Che Non Si Può Nominare a volte fa male anche perché la sua voce non si sente con le orecchie ma con il cuore, organo, quest’ultimo, notoriamente più sensibile dei nostri padiglioni auricolari; però a volte mi sorprendo ad immaginare la mia vera casa (quella che mi porto sempre dietro, dentro di me) con le pareti fatte di questi “pensieri” e le fondamenta costruite con le scelte che, per la maggior parte, li hanno generati: e la cosa mi dà fiducia, sembrerebbe che ne può uscire qualcosa di stabile, a prova di Genio Civile. Le mitiche scelte, i bivi che la vita ci pone davanti, le alternative senza indicazioni…..le ho sempre evitate, ne ho subite di devastanti, ora cerco di prenderle e devo dire che la cosa mi piace, il non sapere cosa c’è dietro l’angolo mi fa camminare con più curiosità per la mia la strada e soprattutto mi dà la sensazione di percorrerla una strada. Un personaggio di uno dei miei libri preferiti direbbe che il fato ci pone davanti sempre due alternative: una è quella giusta l’altra è quella che prenderemo.
Questo concetto mi fa sorgere un………..pensiero.

10:48 AM

 
Anonymous Anonimo said...

Complimenti davvero! Credevo di leggere le solite stupidaggini, le solite leggere storielle

sconclusionate, le solite tiritere che non stimolano in alcun modo le meningi e che sono

buone solo a far passare il tempo...
E invece mi ritrovo a leggere con interesse, la versione scritta dei pensieri di Beatrice e

i commenti di tutti gli altri, al punto che mi piacerebbe inserirmi e dire la mia.
L'argomento sollevato non è mica semplice. Pensieri-che-ti-assalgono-quando-sei-più-fragile,

solitudine, mamma mia!
Se mi avessero detto che avere trent'anni significa perdere il sorriso ed entrare in

depressione, mi sarei tagliato le vene a 24.
A me capita spesso di essere assalito da quei "pensieri" che ti escludono per un po' dal

mondo, che ti fanno incantare mentre senti un piccolo groppo nella gola.
Sono pensieri che a differenza di come dice Elettra, non si riesce ad allontanare facilmente

con la presenza di altre persone... o almeno per me quell'antidoto non funziona.
Certe volte ci potrebbe anche essere Manuela Arcuri che mi chiede se l'intimo che ha addosso

mi aggrada, ma niente! Oddio! Mica tanto... però cerchiamo di mantenere il tono serio...
E allora come si fa?
Alcol? Rimedio temporaneo e non proprio sicuro quando per tornare a casa hai 30 km di

possibilità in più per sfracellarti con la moto...
Compagnia di altre persone? Non tutte sono giuste, non tutte le puoi ricoprire con i tuoi

problemi, non tutte sono facilmente raggiungibili quando ne hai bisogno...
Sport? Sicuramente ha il duplice vantaggio di svagare e di aumentare la tonicità muscolare, ma spesso si finisce a scaricare il proprio malessere anche su questo e torniamo a casa ancora più innervositi.
E allora?
E per chi mi avete preso?
L'ho detto dall'inizio che non è un argomento semplice... e ora mi avete pure fatto incastrato a pensare al problema di questi pensieri!!!
Ma i pensieri di cui parliamo sono mooolto importanti: persone amate, problemi di lavoro, paura per il futuro, insicurezza e solitudine li alimentano manco fossero estrogeni per un bodybuilder.
Non c'è soluzione, non si scappa. Dipende solo da noi, reagire o sopportare l'importante è resistere... diventiamo più forti e impariamo a conoscerci meglio.
Se non ci capitasse di sperimentare tutto questo probabilmente non vivremmo i sorrisi in maniera ancora più intensa...
E magari Beatrice non fornirebbe a noi tutti un bell'argomento su cui confrontarci.
Ma non ci si potrebbe confrontare su Manuela Arcuri... troppo superficiale vero?

3:58 PM

 

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